A place, 100 emotions
Sono passati quasi 7 anni da quella domenica in cui, passeggiando in compagnia della mia ragazza in centro a Torino, passammo per caso per galleria San Federico. Mentre percorrevamo le arcate storiche, la mia attenzione (e quella di molti altri) fu subito attirata da una coppia che litigava ad alta voce.
Onestamente non ho mai capito questo comportamento. Mettere in piazza i propri fatti, specialmente in un momento privato come un litigio, l’ho sempre trovato abbastanza volgare e fuori luogo. Sta di fatto che, dopo aver urlato per cinque minuti abbondanti, il ragazzo probabilmente stufo della conversazione esordì con un: “Voi donne siete tutte uguali, tutte troie” e se ne andò per la sua strada visibilmente incazzato. La ragazza rimase ferma per qualche istante quasi al centro della galleria poi, con un’espressione sul volto mista tra sconforto e rabbia, si incamminò verso l’uscita immergendosi nel suo cellulare, probabilmente per informare amiche, creare una storia o magari semplicemente per chiamare qualcuno.
Sta di fatto che, la frase poco felice del ragazzo, mi portò inevitabilmente a riflettere. Guardai la mia compagna dell’epoca e non potei fare a meno di pensare che, in lei, non vedevo quasi nulla di così uguale ad altre ragazze incontrate sul mio cammino.
Per carità, come tutti, abbiamo implicitamente delle caratteristiche che ci accomunano ad altre persone. Nei modi di fare, nei pensieri ed in infinite altre cose. In fondo, apparteniamo alla stessa specie e con le ovvie diversità, viviamo nella stessa società assieme a milioni di altri individui. Di conseguenza è naturale che alcuni tratti siano comuni ad altre persone.
Al di là di questo, ognuno individuo ha delle caratteristiche proprie che lo distinguono. Dal lavoro fino alle passioni, ci sono piccole cose e gesti che ci rendono “unici” rispetto a milioni di altri individui.
In quel momento il mio cervello si mise in moto e cominciò a chiedersi come poter rappresentare la su detta dualità in uno scatto, anzi in una serie. Pochi giorni dopo arrivò l’illuminazione: Perché non portare un certo numero di ragazze in un posto comune e distinguerle una dall’altra, non per le loro peculiarità fisiche, ma sfruttando le loro passioni e lavori.
Il luogo dove creare il progetto fu facile da decidere, la stessa galleria che mi aveva ispirato. Più difficile fu trovare ben cento ragazze con la voglia di mettersi in gioco in un solo scatto. In questo fui aiutato senza dubbio dal potere dei social. Diedero una visibilità tale al mio annuncio che in breve tempo, vidi ingrandirsi le fila delle volontarie spinte dalla curiosità e in molti casi dalla volontà di esprimersi.
Ci vollero quasi due anni per arrivare alla conclusione. Devo dire che fu davvero una bella esperienza. Sia dal punto di vista fotografico, che da quello umano, ebbi la possibilità di conoscere persone nuove e soprattutto di “entrare” nelle loro vite per un breve istante.